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Da vittima a donna: come uscire dalla dinamica violenta

Aggiornamento: 21 feb 2022


La violenza sulle donne può avere diverse forme: generalmente si tende a distinguere tra violenza tra le mura domestiche, violenza sessuale, fisica e psicologica. Lo stalking, ovvero il reato di atti persecutori, è un fenomeno ancora differente in quanto non necessariamente riferibile all’ambito della violenza di genere (seppur tre casi su quattro riguardano donne perseguitate da un ex compagno).


Sulla base della esperienza maturata in questi anni presso uno sportello di ascolto rivolto alle vittime di violenza, ho avuto modo di constatare che al di là del tipo di maltrattamento subito vi sono alcuni fattori comuni che caratterizzano il vissuto della vittime e sui quali è possibile intervenire.


In primo luogo, ciò che rende una persona vittima non sono necessariamente delle sue caratteristiche intrinseche ed immutabili, ma il suo livello di vulnerabilità. Si può essere vulnerabili su vari fronti:


- dal punto di vista fisico (le donne sono costituzionalmente meno forti degli uomini, e nella maggior parte dei casi sanno che di fronte ad un aggressione potrebbero avere la peggio);

- dal punto di vista economico, in quanto la mancanza di indipendenza economica e/o abitativa non permette a molte donne di sottrarsi da situazioni di maltrattamento;

- dal punto di vista dello status sociale (ad esempio nelle situazioni di lavoro, dove una posizione subordinata può rendere più difficile ribellarsi alle eventuali molestie di un superiore) ;

- dal punto di vista psicologico, in quanto con il maltrattante si creano delle dinamiche relazionali che rendono la vittima sempre più insicura, spaventata e fragile.


Anche l’essere stati innamorati del proprio persecutore rende ovviamente più vulnerabili.


Questo aspetto non va sottovalutato e deve essere tenuto presente nel processo di comprensione e di rielaborazione che le donne si trovano ad affrontare quando scelgono di mettere fine alla loro condizione di vittime. Come infatti sappiamo, le molestie o gli abusi possono essere attuati da sconosciuti, da conoscenti o da partner ed ex-partner. Sono però proprio queste ultime due categorie ad essere le più diffuse, nonché quelle con il maggior rischio di agiti violenti nei confronti della vittima. Del resto, per una donna può essere comprensibilmente più facile prendere provvedimenti nei confronti di uno sconosciuto o di una persona alla quale non è stata affettivamente legata, in quanto paradossalmente risulta più chiaro il proprio “diritto a non subire”.


In coppia invece intervengono diversi fattori. Molte donne riferiscono , di essere state inizialmente conquistate proprio dalle numerose attenzioni dell’altro, dal suo essere estremamente “presente”nella relazione; al contempo, spesso riconoscono di aver percepito molto in fretta qualcosa che non andava, qualcosa di vagamente disturbante… un senso di soffocamento, un eccesso di controllo, un’irascibilità imprevedibile ed esplosiva che le lasciava frastornate. Per far fronte a queste emozioni contraddittorie e disorientanti spesso allora le compagne iniziano a ricorrere a “strategie” profondamente disfunzionali ma che, in qualche modo, consentono in una prima fase di mantenere in equilibrio la relazione: certi comportamenti vengono tollerati, sminuiti o giustificati (“fa così solo quando è nervoso ma poi gli passa”), si diventa sempre più accondiscendenti a certe richieste o pretese allo scopo di limitare i danni e di non suscitare ripercussioni. Con il tempo subentrano sempre di più i sensi di colpa e di autosvalutazione (“forse ha ragione lui, sono io che esagero..”), la vergogna nei confronti degli altri (“in fondo sono io che me lo sono scelto”), ed un senso di isolamento e di disagio nei confronti dell’ambiente circostante e delle relazioni interpersonali. La convinzione di non valere, il profondo senso di malessere e di inefficacia personale possono condurre la donna a colpevolizzarsi ulteriormente accusando se stessa per non essere in grado di tutelarsi, portandola così a sottovalutare ancora una volta le colpe e le responsabilità dell’altro e a non vedere alcuna via d’uscita dalla propria condizione.


In questo senso chiedere aiuto può rivelarsi un primo ma fondamentale passo.


Un amico, un familiare, una persona che possa fare da ponte con il mondo esterno possono essere estremamente preziosi, così come i centri e gli sportelli antiviolenza (dove oltre ad un primo ascolto è in genere possibile richiedere anche una consulenza legale e psicologica), in quanto prendere atto del problema o iniziare a raccogliere informazioni sulle possibili azioni da intraprendere permette alla donna di iniziare a riappropriarsi di un senso di controllo sulla propria vita e contribuisce a ridurre il suo senso di ansia e di isolamento. Per prima cosa è indispensabile aiutare la vittima a prendere le distanze dall’immagine di se stessa che il maltrattante è riuscito ad insinuarle attraverso il suo sguardo, e permetterle di riconoscere i comportamenti subiti per ciò che sono in realtà, ossia vere e proprie violenze. Non deve essere biasimata o compatita ma accompagnata con rispetto nel doloroso percorso di presa di coscienza, durante il quale vanno tollerate anche le sue possibili ambivalenze nei confronti dell’aggressore. Ripercorrere gli eventi con un supporto psicologico consente alla persona di guardarsi con maggiore lucidità, recuperando progressivamente una visione più realistica di sé. In genere, a questa prima fase può seguire la richiesta di un percorso psicoterapeutico più approfondito, teso allo scopo di comprendere meglio i propri punti di luce ed ombra, i propri bisogni profondi e le proprie peculiari modalità relazionali.


L’obiettivo fondamentale di ogni intervento è quello di aiutare le donne che sono state vittime di abusi ad imparare a riconoscere le loro risorse, riappropriarsi del proprio valore e della propria integrità personale.





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