ADOLESCENCE – Quando la narrazione televisiva illumina il disagio invisibile
- Dott.ssa Feliciana Scarpa
- 7 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Ci sono storie che non si limitano a raccontare. Ci sono narrazioni che riescono a toccare corde profonde, ad aprire spazi di riflessione su ciò che spesso resta ai margini: il mondo interiore degli adolescenti. Adolescence, miniserie britannica firmata da Philip Barantini, con la scrittura intensa di Jack Thorne e Stephen Graham, è una di queste storie. Potente, cruda, emotivamente densa.
Il protagonista è Jamie, tredici anni, accusato di omicidio. Ma la serie non si ferma alla cronaca: ci accompagna nel suo universo emotivo, fatto di rabbia silenziosa, chiusura e solitudine. Una realtà che troppo spesso non vediamo, o scegliamo di non vedere.
Un tempo sospeso, un’anima in frantumi
Girata interamente in piano sequenza, Adolescence ci immerge in un tempo dilatato, quasi claustrofobico. Non c’è via di fuga: come spettatori siamo costretti a restare dentro, a sentire insieme a Jamie. Il ritmo lento ci costringe a non voltare lo sguardo, a restare presenti davanti a un’adolescenza ferita, in bilico, in cerca di un senso.
Jamie non è un “caso clinico”, né un mostro da manuale. È un ragazzo che sta cercando – goffamente, dolorosamente – di costruire se stesso. Le sue azioni estreme parlano un linguaggio che spesso riconosciamo nei percorsi psicoterapeutici: isolamento, acting-out, silenzi che gridano. E dietro tutto questo, un dolore che non trova parole.
Manosfera, Incel e il bisogno di appartenere
Uno degli aspetti più lucidi della serie è l’indagine sulle sottoculture digitali, in particolare la manosfera e le comunità incel. Spazi virtuali dove giovani fragili – spesso privi di legami affettivi stabili – trovano appartenenza. Un senso, seppur distorto. Non si tratta semplicemente di devianza: si tratta di giovani che cercano risposte in un mondo che non sembra ascoltarli.
Questi ambienti possono diventare rifugi emotivi, ma anche focolai di rabbia e disconnessione. Serve un ascolto consapevole, capace di intercettare prima che il vuoto si trasformi in ideologia, prima che il dolore si cristallizzi in violenza.
Adulti presenti, ma senza bussola
La serie non punta il dito contro gli adulti: genitori, insegnanti, investigatori… tutti cercano di fare del loro meglio. Ma il punto è che spesso questo “meglio” non basta. Mancano le parole, manca l’ascolto, manca uno spazio in cui poter davvero incontrare l’altro, senza paura né giudizio.
E allora torna il valore della psicoterapia: come luogo terzo, neutro, ma profondamente umano. Uno spazio dove l’adolescente può iniziare a ricostruire un senso, dare forma a ciò che sente, senza dover per forza agire il proprio malessere.
Uno specchio scomodo, ma necessario
Adolescence non dà risposte facili. Non offre soluzioni preconfezionate. Ma fa qualcosa di più raro: ci invita a restare. A sentire il disagio, a non evitarlo. A riconoscere quanto sia complesso essere giovani in un mondo che spesso non lascia spazio alla fragilità.
In un tempo in cui l’adolescenza è sempre più esposta, etichettata o idealizzata, questa serie è un invito a tornare a guardare con autenticità. A vedere prima del sintomo, prima del reato, prima del rumore. A vedere la persona. Prima che sia troppo tardi.
Dott.ssa Feliciana Scarpa
Psicoterapeuta - Psicoterapeuta EMDR
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